Davanti a un mondo che cambia e diventa sempre più complesso si può reagire rimpiangendo vecchie sicurezze o impegnandosi a generare nuove opportunità. Le vecchie generazioni tendono a sovrastimare i rischi e a sottostimare il valore delle nuove sfide, ma faticano anche a trasmettere ai giovani stimoli e motivazioni per viverle essi stessi da protagonisti. Questo produce due conseguenze negative, l’ostilità verso i processi di cambiamento da parte dei più anziani e la mancanza di strumenti per orientare positivamente le scelte dei più giovani. Brexit è un esempio di decisione determinata dal peso dei primi ma destinata a pesare sul futuro dei secondi, i quali subiscono in parte impotenti e in parte inconsapevoli.
Archivio mensile:giugno 2016
Il testo della seconda prova a.s. 2015/16
“Per la scuola, si è riconosciuto che spetta alla Repubblica dettare le norme generali
sull’istruzione, organizzare la scuola di Stato in tutti i suoi gradi, assicurare ad enti e
privati la facoltà di istituire altre scuole. Tutto ciò non costituisce un monopolio statale;
ed è ammessa la libertà di insegnamento. Ma l’organizzazione della scuola pubblica è
una delle precipue funzioni dello Stato; e quando le scuole non statali chiedono la
parificazione, la legge ne definisce gli obblighi e la sorveglianza da parte dello Stato, e
nel tempo stesso ne assicura la effettiva libertà garantendo parità di trattamento agli
alunni, a parità di condizioni didattiche. La serietà degli studi e l’imparziale controllo su
tutte le scuole statali e non statali sono garantiti con l’obbligo dell’esame di Stato, non
solo allo sbocco finale ma anche in gradi intermedi. Uno dei punti al quale l’Italia deve
tenere è che nella sua costituzione […] sia accentuato l’impegno di aprire ai capaci e
meritevoli, anche se poveri, i gradi più alti dell’istruzione. Alla realizzazione di questo
impegno occorreranno grandi stanziamenti; ma non si deve esitare; si tratta di una delle
forme più significative per riconoscere, anche qui, un diritto della persona, per utilizzare
a vantaggio della società forze che resterebbero latenti e perdute, di attuare una vera ed
integrale democrazia. (Relazione del Presidente della Commissione, Progetto di
Costituzione della Repubblica Italiana, Roma, 6 febbraio 1947)
Il testo completo
Meuccio Ruini
http://www.treccani.it/enciclopedia/meuccio-ruini/
Dalla benedizione delle biro alla canonizzazione ad honorem di Virgilio e Leopardi. I maturandi di ieri e di oggi non sanno letteralmente a che santo votarsi
Una vita senza esami non vale la pena di essere vissuta. Socrate ne era convinto. Molto meno gli esaminandi. Che farebbero volentieri a meno di questa sorta di giudizio finale che si chiama maturità. L’ultimo dei riti di passaggio. Un’autentica iniziazione all’età adulta. Di fronte alla quale i maturandi di ieri e di oggi non sanno letteralmente a che santo votarsi.E allora fioccano preghiere e scaramanzie, voti e fioretti. E altri modi per ridurre la tensione. È quel che ha pensato l’insegnante di religione di un liceo di Aversa che nei giorni scorsi ha riunito gli studenti per la benedizione solenne di biro e roller. Penne consacrate per prove fortunate? Sì, ma niente di superstizioso. Semmai un ricostituente simbolico, per far sentire i ragazzi meno soli. In momenti come questi tutti i mezzi sono buoni per farsi coraggio. Integratori alimentari, oggetti transizionali. E tutor celestiali, che di questi tempi vanno alla grande. Come Sant’Espedito che, lo dice il nome stesso, è patrono delle urgenze e delle emergenze. Rita da Cascia, soprannominata la santa delle cause impossibili, come certe promozioni. Poi c’è il letteratissimo Tommaso d’Aquino, invocato da quelli che si sentono deboli in filosofia. Ma su tutti svetta Giuseppe da Copertino, un francescano del Seicento passato alla storia per il suo deficit di apprendimento. Tanto da meritarsi l’appellativo di Frate Asino.Il che non gli impedì di superare miracolosamente gli esami di teologia, grazie alla scienza infusa con cui il Cielo lo aiutò a ripianare il debito formativo.E se non bastano i santi ci si affida agli arcangeli. Come Zadkiel, in ebraico favore di Dio, invocato per potenziare la memoria. Uriel, che significa luce divina, per chiarire gli argomenti più oscuri. E per quelli che hanno le batterie scariche c’è Gabriele, l’angelo dell’Annunciazione, che assicura sinapsi folgoranti, creatività travolgente e autostima crescente. Ma soprattutto è portatore di buone novelle. Per esempio il 100/100. Infine ci sono i protettori per chiara fama, con l’alloro al posto dell’aureola. Come Virgilio e Leopardi, canonizzati ad honorem da maturandi di tutto il mondo che vanno in pellegrinaggio a Napoli a deporre sulle loro tombe attestati di devozione poetica e richieste di indulgenza scolastica. «Caro Virgilio tu che sei dei poeti onore e lume, aiutaci a superare lo scoglio del latino». Il messaggio, firmato da un gruppo di liceali di Utrecht, è scritto in inglese. Virgilio impazza, ma anche Leopardi tiene botta. «Caro Giacomo, aiutaci alla maturità», invocano all’unisono Marina, Fabio e Vera. Mentre una studentessa modello, mette nero su bianco il sospiro d’amore della Didone virgiliana, «Agnosco veteris vestigia flammae», conosco i segni della fiamma antica. Manifestazioni di culto? No, di cultura. Richieste di raccomandazione? No, di ispirazione. E adesso c’è la preghiera a Leo Di Caprio perché trasmetta ai candidati un po’ del suo fascino irresistibile. Per un esame da Oscar.
Marino Niola
La Repubblica 24 giugno 2016
Ora che succede all’economia e alle Borse?
LONDRA – La decisione degli elettori britannici di uscire dall’Unione Europea sta avendo conseguenze traumatiche sui mercati globali. Stanotte, la sterlina è scesa dell’11% contro il dollaro, toccando i minimi da 30 anni a questa parte, mentre la borsa di Londra ha perso l’8% in apertura, trascinando giù tutti gli altri mercati.
Perché la sterlina è scesa così tanto?
Gli investitori temono che per il Regno Unito si apra un periodo di grande incertezza. Le negoziazioni su che accordi prendere con l’UE dureranno almeno due anni. Ci sono poi preoccupazioni legate all’enorme deficit esterno della Gran Bretagna, pari al 7% del prodotto interno lordo, che dovrà continuare ad essere finanziato dagli investimenti stranieri in un periodo di grande turbolenza. Il rischio è una crisi della bilancia dei pagamenti, come quelle che Londra ha vissuto negli anni ’70.
Perché soffrono anche le borse europee?
Gli operatori di mercato temono che “Brexit” possa avere degli effetti a catena nel resto dell’UE. Le difficoltà economiche del Regno Unito potrebbero contagiare gli altri Paesi, per esempio attraverso un rallentamento delle importazioni britanniche dall’UE. Vi è poi una preoccupazione che l’UE stia entrando in una fase di nuova instabilità, marcata dalla crescita dei partiti populisti come, ad esempio, il Movimento 5 Stelle in Italia o il Fronte Nazionale in Francia. Infine, il clima generalizzato di paura porta gli investitori a vendere comunque le azioni ritenute meno sicure, come, ad esempio, quelle delle banche italiane.
Chi può intervenire?
Le banche centrali stanno già intervenendo nel mercato delle valute: la Banca Nazionale Svizzera sta vendendo franchi per evitare che la valuta si apprezzi troppo. Mark Carney, governatore della Banca d’Inghilterra, ha annunciato che sarà pronto a sostenere la sterlina, e ha messo a disposizione 250 miliardi per altre operazioni di mercato. Per ora, la Banca Centrale Europea non è ancora intervenuta, ma, come detto dal governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, anche a Francoforte sono pronti a intervenire, ove necessario, usando i tassi d’interesse, oltre ad altri strumenti come gli swap o i repo.
Riuscirà la Banca d’Inghilterra a sostenere l’economia?
Carney si trova in una situazione estremamente complessa: da una parte, la tentazione potrebbe essere quella di abbassare i tassi d’interesse per dare slancio all’economia e evitare il rischio di una lunga recessione. D’altra parte, il crollo della sterlina farà costare di più le merci importate, spingendo in alto l’inflazione. Questo potrebbe richiedere un aumento dei tassi d’interesse per convincere gli investitori a lasciare i loro capitali in Gran Bretagna a costo e frenare la caduta del cambio. Il rischio, però, è quello di peggiorare un’eventuale recessione.
Che faranno le aziende in Gran Bretagna?
Tutte le principali istituzioni finanziarie mondiali e la maggior parte degli economisti pensano che Brexit raffredderà la voglia delle aziende di investire, almeno finché non sarà chiaro quali saranno gli accordi raggiunti con l’Unione Europea. La crisi di governo causata dalle dimissioni del premier David Cameron, contribuiranno a questo clima di cautela. Nel frattempo, però, alcune aziende potrebbero decidere di spostare le loro operazioni all’estero. Gli occhi sono puntati sulle banche e le altre società di servizi finanziari, che già riflettono sul se spostarsi a Francoforte, Dublino o Parigi per continuare a godere dell’accesso agli altri mercati UE. Grandi aziende automobilistiche come la Toyota hanno fatto capire che potrebbero essere costrette a tagliare posti di lavoro in Gran Bretagna per abbassare i costi. Vi sono anche preoccupazioni per il settore dell’edilizia: il mercato immobiliare è destinato a frenare, soprattutto a Londra, dove c’è il rischio di una caduta dei prezzi dalle quotazioni vertiginose raggiunte in questi anni.
Quali sono i rischi per l’Italia?
Il problema principale riguarda l’andamento dei mercati azionari e, in particolare, dei titoli bancari, che già in apertura hanno sofferto come quelli di altri Paesi europei. Il sistema bancario italiano è in un momento di grande fragilità, anche se il governatore Visco, il ministro dell’economia Pier Carlo Padoan, e il presidente della Consob, Giusepee Vegas si sono detti sicuri oggi che l’Italia non corra rischi particolari. Se Brexit dovesse avere effetti prolungati sull’economia europea, a soffrirne sarebbero prima di tutto le nostre aziende esportatrici. Più in generale, ci potrebbe essere un raffreddamento della volontà di investire in nuova capacità produttiva. Quanto al lungo periodo, molto dipenderà da che accordi l’UE prenderà con la Gran Bretagna: la società Prometeia ha stimato oggi che il danno per le aziende dai dazi imposti da Londra potrebbe essere di circa un miliardo.
Ferdinando Giugliano
Le conseguenze pratiche della Brexit
CONSEGUENZE PER I BRITANNICI CHE VIVONO IN GRAN BRETAGNA
IL VISTO
L’effetto Brexit più immediato ed evidente dovrebbe essere sentito sulla libera circolazione dei britannici nei Paesi Ue: se finora bastava la carta d’identità per muoversi all’interno dello Spazio Schengen, l’uscita della Gran Bretagna dall’Ue dovrebbe essere accompagnata dalla necessità per i cittadini britannici di richiedere un visto per viaggiare in Europa continentale. Allo stato attuale solo 44 dei 219 Paesi richiedono un visto ai cittadini britannici.
VIAGGI
Le vacanze nel Vecchio Continente saranno più care per i britannici: non solo perché la caduta della sterlina nei confronti dell’euro ridurrà inevitabilmente il loro potere d’acquisto, ma anche in virtù di accordo comunitari che permettono a qualsiasi compagnia aerea dell’Ue di operare senza limiti di frequenza, capacità o prezzo nello spazio aereo europeo. «Il mercato unico ha consentito a Ryanair di promuovere la rivoluzione dei voli a basso costo in Europa», ha ricordato nei giorni scorsi Michael O’Leary, l’amministratore delegato della compagni aerea a basso costo britannica. Per non parlare degli oneri per i telefoni cellulari, che sono stati finora ammortizzati a livello europeo, o delle norme europee per ottenere rimborsi in caso di ritardi o cancellazione di voli.
LAVORO
I sostenitori della Brexit hanno fatto dell’occupazione uno dei cavalli di battaglia della loro campagna; tuttavia è probabile che l’uscita del Regno Unito dall’Ue sia accompagnata da delocalizzazione di numerosi posti di lavoro. Per esempio, le grandi banche: Jamie Dimon, amministratore delegato di JPMorgan, ha avvertito all’inizio di giugno che la banca americana, che impiega oltre 16mila persone nel Regno Unito, in sei posti diversi, potrebbe rimuovere tra le 1000 e le 4000 persone, in particolare nelle funzioni di back-office. Morgan Stanley prevede di trasferire 2.000 persone delle 6.000 che ha nel Regno Unito verso l’Ue mentre Goldman Sachs dovrebbe trasferirne almeno 1.600.
CONSEGUENZA PER GLI ITALIANI CHE VIVONO IN GRAN BRETAGNA
Tra Londra e il resto dell’Inghilterra vivono mezzo milione di italiani. Ora, dopo la vittoria della Brexit, cosa cambierà per loro? Nessuno lo sa con certezza, ma si possono fare previsioni.
LAVORO
Chi paga le tasse in Gran Bretagna da cinque anni può richiedere un permesso di residenza e la cittadinanza. C’è chi l’ha già fatto, prendendo la doppia cittadinanza (britannica oltre che italiana). Chi ha intenzione di farlo adesso dovrà scontrarsi con una macchina burocratica che richiede tempo e denaro, un anno e almeno mille sterline. Chi non intende restare per sempre potrà probabilmente ottenere un visto di lavoro, da rinnovare ogni due-tre o anche cinque anni, presentando una richiesta da parte del proprio datore di lavoro. Chi, invece, vuole trasferirsi a Londra, da oggi in poi, non può più farlo senza avere già trovato un’occupazione prima della partenza.
TURISMO
Non cambia nulla. Gli italiani che vogliono andare in vacanza a Londra lo faranno senza la necessità di un visto. Questo potrebbe spingere molti connazionali a utilizzare questo mezzo per fermarsi un po’ di più. Entrare da turisti, probabilmente con la possibilità di fermarsi fino a tre mesi, cercare lavoro e, nel caso ciò accadesse, richiedere un visto di lavoro. La trafila, ovviamente, si prospetta molto più complicata.
STUDIARE IN GRAN BRETAGNA
La retta annuale in un’università britannica si aggira attorno ai 12 mila euro. Con la Brexit salirà tra i 16 e i 22 mila euro. Facilitazioni, sconti e opportunità normalmente in atto nel Regno Unito sarebbero tutte da riclassificare. E molto probabilmente tutto costerebbe di più.
ASSISTENZA SANITARIA
Ci sono ancora tanti dubbi. Non è chiaro se l’assistenza sanitaria basata sulla reciprocità della Ue continuerà a funzionare. Probabilmente un italiano che necessiti del pronto soccorso inglese non avrà più un trattamento gratuito. Annullati anche i sussidi di disoccupazione e la possibilità di ottenere un alloggio popolare.
CONSEGUENZE PER I BRITANNICI CHE VIVONO IN UE
La Brexit darà numerosi grattacapi anche all’1,3 milioni di espatriati britannici che vivono in altri Paesi europei, per esempio in Spagna ((319.000), Irlanda (249.000), Francia (171.000) o Germania (100.000).
PENSIONI
I pensionati potrebbero vedere disciolte come neve al sole le loro pensioni, a causa del forte deprezzamento della sterlina, che potrebbe notevolmente compromettere anche i loro investimenti immobiliari nel loro Paese di adozione.
COPERTURA SANITARIA
Un altro problema riguarderà la loro copertura sanitaria: in molti Paesi europei, ricevono assistenza dal sistema sanitario nazionale, i cui costi vengono poi pagati dalla sanità pubblica britannica nell’ambito di accordi bilaterali. A rischio anche il destino professionale delle migliaia di funzionari britannici che lavorano per le istituzioni europee, in particolare a Bruxelles.
VERSO NUOVE FRONTIERE?
La Brexit potrebbe avere conseguenze inaspettate anche sulla geografia. La Spagna potrebbe essere tentata di chiudere il confine con Gibilterra, uno sperone di 6 chilometri quadrati dove vivono 33mila britannici. Più a nord, la Brexit potrebbe anche creare un confine tra Irlanda del Nord e Irlanda, rallentando il flusso di migliaia di persone ogni giorno.
Brexit: hanno perso giovani, laureati e i liberal metropolitani
I giovani sarebbero rimasti, hanno votato in massa «Remain». Per loro hanno deciso quelli che sono nella fase declinante della parabola della vita, arroccati in difesa di posizioni e privilegi, spaventati da frontiere troppo lasche. Lo spiega bene l’analisi dell’istituto Yougov (che a chiusura seggi dava in vantaggio il Remain, con il 75% dei votanti tra i 18 e i 24 anni che hanno votato per rimanere nell’Unione.
Anche la maggior parte degli adulti tra i 25 e i 49 anni, quelli all’inizio o nel pieno della vita lavorativa, ha scelto la permanenza nella Ue. La curva dei voti flette nella fascia d’età che va dai 50 ai 65 anni (dove il Remain cala al 42%) per precipitare al 36% tra gli over 65, i più entusiasti per l’uscita. Grandi sconfitti i giovani, insomma.
Ma la spaccatura, oltre che generazionale, è anche di istruzione: fra chi ha una laurea, il 71% ha votato contro la Brexit e quindi per restare in Europa, il 29% a favore. Chi ha titoli di studio inferiori ha votato al 55% a favore della Brexit e al 45% per restare in Europa. Ed è pure di classe: per la vittoria del Leave è stato determinante il trionfo nelle contee conservatrici e nelle aree dove il Labour è più forte: Inghilterra del Nord e Galles. Per l’Independent, i lavoratori preoccupati per l’immigrazione hanno scelto di allontanarsi dall’Europa, mentre la classe metropolitana, liberale, ha votato per la globalizzazione.
E per rimanere nel campo delle frammentazioni: il corrispondente politico del Daily Telegraph Ben Riley-Smith fa la conta (Galles: Leave; Inghilterra: Leave; Scozia: Remain; Irlanda del nord: Remain) e si chiede: cosa ne sarà adesso del Regno «Unito»? Mentre il Washington Post ospita una proposta «provocatoria» di David Harsanyi, condirettore della rivista online The Federalist, che propone un esame di educazione civica per gli elettori, perché una democrazia non informata è «il preludio a una farsa o a una tragedia».
Antonella De Gregorio
Corriere della Sera 24 giugno 2016
Senza i consumi dei Millennials non ci sarà ripresa
Si cambia cavallo. Nei dati sui conti economici trimestrali diffusi dall’Istat lo scorso 31 maggio c’è la conferma che a spingere la ripresa dell’economia italiana sono oggi i consumi più che le esportazioni. Nel primo trimestre il contributo alla crescita offerto dalla domanda estera netta – la differenza tra export e import – è stato negativo. Gli investimenti sono rimasti al palo. L’apporto positivo di consumi e scorte ha permesso al Pil di segnare un incremento trimestre su trimestre che conferma la proiezione di una crescita annua dell’ordine di un punto percentuale. L’indebolimento delle esportazioni nette non sorprende. Il commercio mondiale rallenta e le prospettive delle grandi economie extra-europee rimangono relativamente incerte. Il passaggio della barra della ripresa nelle mani dei “driver” domestici rimane, però, altrettanto esposto a rischi che meritano attenzione, a breve come a medio termine.
Due i fattori chiave: i redditi e la demografia. I consumi dipendono dal reddito e dalla propensione a spendere. Per la prima volta dal 2008, nel 2015 il potere d’acquisto delle famiglie italiane è tornato a crescere di quasi un punto percentuale. Merito della fine del calo dell’occupazione e dei segnali di recupero che ad aprile 2016 portano l’aumento degli occupati a colmare metà della caduta di 1,1 milioni realizzata tra il 2008 e il 2013. A rimettere in moto i consumi è servito tutto, dagli sgravi contributivi alle nuove regole del mercato del lavoro agli 80 euro. Ugualmente, a tonificare il potere d’acquisto delle famiglie contribuisce il lato buono dell’inflazione zero, con le rate dei mutui che diventano più lievi e il pieno di carburante che costa meno di uno o due anni fa. Meno sfiduciati che in passato, gli italiani tornano a spendere, soprattutto nell’acquisto di beni durevoli che nei dati del primo trimestre aumentano di ben sei punti percentuali rispetto allo stesso periodo del 2015. È l’auto la regina della ripresina dei consumi, con le immatricolazioni di nuovi veicoli che continuano a marcare incrementi annui a due cifre. Dopo anni di freno a mano tirato, i consumi ripartono mettendo la prima. Il punto è creare le condizioni perché la marcia prosegua, magari salendo di rapporto. L’approvazione dei target italiani di finanza pubblica per il 2016 da parte della Commissione Europea garantisce un sostegno importante, ancorché misurato, al consolidamento della ripresa dei redditi e dei consumi. Questo nell’orizzonte dell’anno. Ma, oltre il 2016, incombe una sfida ben più impegnativa i cui contorni divengono via via più chiari. È la sfida del cambiamento demografico. Ancora una trentina di anni fa la distribuzione per età della popolazione italiana era graficamente rappresentata da una piramide. Oggi assomiglia a una teiera e nell’arco di un paio di decenni assumerà le forme di un vaso che si allarga verso l’alto. Ancora negli anni Ottanta le età percentualmente più numerose erano quelle giovanili, tra i 20 e i 30 anni. Oggi la pancia della distribuzione è salita tra i 50 e i 60 anni. Alla metà del secolo il baricentro muoverà ancora più in alto. L’Italia invecchia, e deve porsi il problema di invecchiare bene ricucendo in fretta i divari profondi che si sono scavati tra le generazioni. Divari a danno dei giovani, di lavoro e di reddito che più di altri fattori minano il potenziale di sviluppo dell’economia e della società. Altro che “output- gap” e “digital-divide”. Oggi il reddito medio di un membro di una famiglia il cui capofamiglia ha non più di 30 anni è tornato indietro ai valori di quaranta anni fa. Ben diversa e migliore risulta invece la situazione di chi può contare su un capofamiglia ultra-sessantacinquenne o anche solo cinquantenne. Cresce il peso delle famiglie che trovano nelle pensioni la fonte prevalente di reddito, mentre raddoppia rispetto agli anni Ottanta la quota di giovani tra 25-34 anni che vive ancora nella famiglia d’origine. Magra consolazione, la riduzione del numero medio dei figli aumenta la misura dei lasciti. Non è con maggiori eredità che si potranno sostenere i consumi futuri dei “millennials” quando saranno finite le pensioni dei “baby-boomers”. Servono lavoro e lavori nuovi e sostenibili, da creare con l’innovazione, le riforme e il buon senso.
Giovanni Ajassa
Direttore Servizio Studi Bnl Gruppo Bnp Paribas
A&F 13 giugno 2016