Nelle chiacchiere da metropolitana tornando da Rho il tema del rapporto tra multinazionali ed Expo occupa sempre un posto centrale. Tra i visitatori con figli minorenni che hanno affollato il ristorante di McDonald’s e il padiglione della Lindt, gli intellettuali politicamente corretti che storcono il naso per una contaminazione che non avrebbero voluto. Nel mezzo ci sono le nostre multinazionali, Barilla e Ferrero in testa. La prima ha avuto un ruolo decisivo nell’ispirare la Carta di Milano, la seconda ha diversi padiglioni sparsi qua e là. Poi c’è un’altra corporation che fa discutere più delle altre ed è l’americana Manpower, che organizzando le selezioni per assumere i lavoratori dell’Expo è entrata giocoforza nel mirino dei rapper no global.
Dunque il tema delle multinazionali sarà sicuramente divisivo ma se l’Expo queste cose non le prende di petto è destinata a restare una piccola Disneyland nella cintura milanese. Gli organizzatori sono convinti che il rischio vada corso e parlano di una «triangolazione necessaria» ovvero di un equilibrio dialettico che si deve stabilire tra le istituzioni, le associazioni non profit e le imprese. Per questo hanno invitato, e si stanno definendo in questi giorni le date, i tre amministratori delegati di Coca Cola, Nestlé e McDonald’s – al secolo rispettivamente Muhtar Kent, Paul Bulcke e Steve Easterbrook – ovvero il Gotha del capitalismo alimentare globale. Ma riusciranno i nostri eroi a istruire un gioco che non sia un inutile blabla e che ingaggi davvero il diavolo e l’acqua santa, McDonald’s e Slow food?
Noi italiani con le multinazionali abbiamo un rapporto contrastato. Da una parte vogliamo attrarle – tutti in tv lo dicono anche se militano in Sel o nella Lega – ma poi le consideriamo ingombranti e predatorie. Qualcuna riesce, grazie ai prodotti, a far breccia nel nostro cuore e quindi ci dimentichiamo che Apple o Ikea siano yankee o scandinave, entrano a far parte del nostro quotidiano e non ne escono più. Altre non ce la fanno magari solo perché hanno prodotti di minor fascino o perché, come le agenzie interinali, vengono accusate dai NoExpo «di trattare il lavoro come fosse merce».
L’Expo è il luogo giusto per far vivere queste contraddizioni e se i Ceo delle grandi corporation capiscono che ha senso venire a Canossa possono scaturirne delle sintesi interessanti. L’amministratore delegato di McDonald’s Italia, Roberto Masi, ogni volta che gli capita di parlare sostiene che sta spostando il budget degli acquisti tutto verso l’Italia e aggiunge che nei suoi menu ha inserito pasta, frutta e verdura ovvero la summa della dieta mediterranea. Persino Coca Cola avrebbe intenzione di aumentare gli acquisti in Italia di arance siciliane e quanto a Barilla il principio è che il grano si compra là dove si produce la pasta. Vale per l’Italia ma anche per la Turchia, la Grecia e gli States.
Vedremo come andrà a finire, intanto però Stefano Scabbio, l’amministratore delegato di Manpower, ci tiene a supportare il buon nome delle multinazionali del lavoro e racconta: «Noi agiamo per portare legalità. E in questi giorni abbiamo contrattualizzato i lavoratori del padiglione polacco che stavano operando senza norme. In accordo con il commissario governativo di Varsavia li abbiamo regolarizzati e così faremo con gli altri padiglioni di Paesi esteri che si dovessero trovare nella stessa situazione».