
Il tizio ha comprato un’auto nuova e, giustamente, nel suo piccolo è felice. È qui però che il ragazzino comincia a lavorarlo ai fianchi. Essendo intimamente subdolo, parte con un complimento finto: “Bella questa macchina”. Il tizio con l’auto nuova ci casca e abbassa la guardia: errore gravissimo. Il bambinetto querulo lo crivella con domande drammaticamente petulanti: “Ma si accende da sola? Lo fa il caffè? Il sedile si trasforma in un razzo missile? No? Be’, allora sei uno sfigato”. Ora: in qualsiasi mondo immaginabile, il tizio con l’auto nuova sentirebbe crescere dentro di sé un malsano istinto da Erode e darebbe al bambinetto un calcione in grado di trasportarlo dal giardinetto di casa alla ionosfera. Non nella pubblicità: il ragazzino se la ride, il tizio ci rimane malissimo e va in analisi (anche se lo spot non ce lo mostra). Nel frattempo spunta pure il padre del ragazzino, ovviamente insopportabile come lui. Ha la macchina figa e guarda il vicino come Cacciari guarda la Picierno: a oggi, questo spot è l’unica cosa più tremenda in tivù di Andrea Romano. Ma non è certo un caso isolato.
Gli spot mietono vittime con ferocia inaudita e Bruce Willis sta lì a dimostrarlo. Le famiglie, nelle pubblicità, sono sempre a tavola o davanti alla tivù, a conferma che tra le mura di casa ci si strafoga o ci si rincoglionisce: tertium non datur. A tavola ci si esalta per cose da nulla, tipo il pollo surgelato a forma di fungo atomico. L’esaltazione è tale che, di colpo, tutti comincino a cantare: così, senza senso. Gli basta un sofficino per andare in visibilio: che vite conducono? Che gente è? Che traumi hanno avuto? Peraltro i testi di cotante canzoncine hanno una forza testuale degna di un brano minore di Mariano Apicella; ciò nonostante, l’epifania culinario-musicale è tale da fare apparire come per magia Marilyn Monroe, che subito dopo essersi materializzata è già lì che rimpiange – giustamente – di essere resuscitata per così poco. Non c’è salvezza: se una famiglia non è scema, negli spot non ha spazio. I mariti sono mammoni, vagamente ebeti e oltremodo sbadati. Quando vanno a fare la spesa, neanche riescono a comprare due gocciole come si deve ma hanno bisogno della badante suocera leopardata (perché leopardata? Boh).
Le mogli, dal canto loro, reagiscono a questo trionfo di virilità ingozzandosi di yogurt e facendo dissertazioni sulla regolarità intestinale, che come noto è una cosa che erotizza i maschi tantissimo. Infine, il clou: la colazione. Notoriamente la mattina è il momento in cui a tutti girano le scatole, gli uomini sono stropicciati come una salvietta sporca dell’autogrill e le donne si maledicono per avere sposato cotanti sgorbi. Nella pubblicità, no: tutti ilari, belli e truccati. Attorno a mamma e papà, la prole ride con denti bianchissimi e inzuppa biscotti enormi su tazze che nessuno usa più dai tempi di Tambroni. Il latte schizza ovunque e insozza pure i muri, ma nessuno si arrabbia. Anzi: il papà è orgoglioso del disastro e la mamma lo esorta a demolire direttamente casa. Tutto ciò giustifica una domanda: siamo davvero così o è così che ci dipingono? Se è la seconda, ribelliamoci. Se è la prima, chiediamo agli alieni di porre fine alle nostre sofferenze.