85 dollari al barile

prolllA metà della settimana scorsa, mentre tutte le Borse globali franavano sotto i colpi delle rinate tensioni sulla Grecia, dell’apparente impossibilità di trovare un accordo sulle vie d’uscita dalla crisi fra i tre big dell’euro — Germania, Francia, Italia — e ancora degli inediti timori di recessione provenienti da Berlino e chi più ne ha più ne metta, il petrolio Brent scendeva a 85 dollari, il minimo da quattro anni. La picchiata del greggio sembra non aver fine: e come sorprendersi con una congiuntura mondiale così precaria? «Invece la realtà è molto più complicata», obietta Leonardo Maugeri, uno dei più prestigiosi esperti di petrolio internazionali, vicepresidente dell’Eni dal 2000 al 2010 e oggi partner dell’hedge fund Ironrank di New York che investe in energia, nonché docente ad Harvard: già due anni fa in uno studio per l’università aveva previsto un crollo delle proporzioni attuali nei valori. Persino la Cina e la Russia rallentano, la Germania è sull’orlo della crisi per non parlare del resto d’Europa: i valori così bassi del greggio non sono semplicemente funzione del passo lento dell’economia e della domanda mondiale? «Non è questo l’elemento prevalente. Per capire la situazione dobbiamo andare indietro di dieci anni. Nel 2003-2004 le quotazioni cominciarono a salire, tanto che più o meno tutte le compagnie, grandi o piccole, decisero di potenziare gli investimenti per aumentare la disponibilità e quindi cogliere le opportunità di prezzi così alti che allora sembravano dover durare per sempre (il picco fu a 150 dollari nel luglio 2008, ndr). Nei dieci anni fra il 2003 e il 2013 si sono spesi nel mondo oltre 4mila miliardi di dollari nell’esplorazione e nello sviluppo di nuovi giacimenti di petrolio e gas. Bene, ora questi investimenti, che per natura richiedono in media 7-8 anni anni per dispiegare i loro effetti, stanno dando i loro frutti. Così aumenta a dismisura la capacità produttiva, più ancora che l’offerta: il problema, come notava già lo sceicco Yamani, è che quando la capacità aumenta ma la domanda è stabile o in declino, si crea quello che gli americani chiamano glut, insomma eccesso di petrolio potenzialmente in grado di arrivare sul mercato. È quello che sta succedendo. Né è semplice per le compagnie rallentare di colpo o addirittura interrompere gli investimenti, che vengono intrapresi di solito in cooperazione con i Paesi produttori i quali non si lasciano sfuggire tanto facilmente le opportunità di guadagno pur ridotte….

http://www.repubblica.it/economia/affari-e-finanza/2014/10/20/news/sta_cambiando_il_mercato_troppo_greggio_nel_mondo_i_prezzi_resteranno_bassi-98539654/