La città antica, la “polis” fisicamente definita da un muro che escludeva i barbari, si identificava con quelle leggi che tutelavano i cittadini da quel vento impetuoso. E il cittadino aveva il diritto di entrare in dialogo con quelle leggi per modificarle e migliorarle. In genere, lo faceva per mezzo di un avvocato, parola (ricordiamolo ora) che deriva dall’espressione latina «ad auxilium vocatus», «colui che è chiamato ad aiutare». La salute di una società si può quindi giudicare dalla facilità con cui si realizza questo dialogo tra i diritti del cittadino e i suoi obblighi,
dialogo che le dittature cercano di reprimere, le plutocrazie di ignorare, mentre le demagogie cercano di appropriarsene o di pervertirlo. E in tutti questi casi (e non solo) si suppone che gli avvocati fungano da ponte tra i diritti individuali e i loro doveri civici, entrambi stabiliti dalla legge. Purtroppo, il compito di un avvocato si confonde a volte con quello di un doganiere che pretende prima di attraversare il ponte una tassa per il suo servizio. Ed è questa la visione del personaggio che sembra prevalere nella letteratura.
Ma esaminiamo più attentamente questa affermazione, con la quale ho iniziato il mio discorso. La letteratura — la buona letteratura — non è mai unilaterale. Insiste sull’ambiguità, esige altre testimonianze, si impegna a non affermare ma a costruire con delle domande una strada per il lettore accanito. Perché nella letteratura non ci sono definizioni categoriche, i lettori possono continuare a leggere le grandi opere senza esaurirle mai, senza mai raggiungere l’ultimo l’orizzonte di un’opera. Dopo l’ultima lettura dell’Iliade o di Finzioni ce ne sarà sempre un’altra, diversa, che rivelerà un aspetto dell’opera che era lì, ma non avevamo visto.
Faccio un esempio. Il Mercante di Venezia è stato rappresentato e letto innumerevoli volte da quando esordì in scena nel 1605, curato dallo stesso Shakespeare. Ricordiamo che Shylock, l’usuraio ebreo, ha prestato del denaro a Bassanio, che gli ha dato come garante il suo amico Antonio. Shylock, che odia Antonio perché è antisemita, accorda il prestito, ma esige, in caso di mancato pagamento, una libbra di carne di Antonio. Le navi di Antonio sono disperse in mare e Shylock porta Antonio di fronte alla corte del Doge per far valere i suoi diritti. Bassanio offre il doppio del denaro dovuto, ma Shylock rifiuta la sua offerta. Entra a quel punto in scena un giovane avvocato, che in realtà è Porzia, la moglie di Bassanio, travestita da uomo. Aperto il processo, Porzia cerca di convincere Shylock, per clemenza, a desistere dalla sua pretesa. Shylock rifiuta. Porzia lo invita quindi a tagliare la libbra di carne dal petto di Antonio, ma se nel tagliarla versasse anche una sola goccia del suo sangue sarà condannato a morte e gli saranno confiscate terre ed averi. Sconfitto, Shylock è disposto ad accettare l’offerta in denaro fattagli da Bassanio, ma Porzia si oppone: Shylock l’ha già respinta in tribunale e, pertanto, non può accettarla ora. Porzia cita una legge veneziana che punisce lo straniero colpevole di tentato omicidio nei confronti di un veneziano (in quanto ebreo, Shylock sarebbe considerato uno “straniero” a Venezia), costringendolo a cedere i suoi beni per metà allo Stato e per metà ad Antonio, e a mettere la sua vita a disposizione del Doge. Il Doge lo grazia, a patto che Shylock si converta al cristianesimo.
Nel corso dei secoli, i critici non sono riusciti a mettersi d’accordo nel giudicare se l’opera di Shakespeare sia antisemita o no. Alcuni hanno sostenuto che Shakespeare esprime i suoi pregiudizi razzisti attraverso le argomentazioni giuridiche di Porzia e che la conversione finale imposta a Shylock è presentata come una risoluzione benefica e giusta. Wolf Mankowitz, il romanziere inglese, ha definito Porzia «una figlia di puttana, gelida e snob» e Harold Bloom, eminente critico americano, ha detto che con quest’opera teatrale Shakespeare «ha fatto molto male agli ebrei». Durante il Terzo Reich, l’opera fu messa in scena più di cinquanta volte. Altri, soprattutto nella seconda metà del XX secolo, hanno sostenuto che Porzia, come avvocato, ha solo trovato dei motivi legali per invalidare le pretese di Shylock, e che era motivata non da un pregiudizio razziale, ma dall’amore per la giustizia e per i diritti del cittadino. Le domande che pone Shylock nel difendersi come essere umano si possono applicare a tutti, e quando Shylock dice a un cristiano: «La perfidia che voi mi insegnate saprò metterla in pratica», non fa altro che esprimere una verità sociale innegabile: che la corruzione dello Stato autorizza gli individui ad essere corrotti. Per il drammaturgo Aaron Posner, Porzia rappresenta l’archetipo dell’avvocato, la cui funzione non è quella di presentare dei punti di vista più giusti o più tolleranti, ma di evidenziare che cosa dicono le leggi sul caso presentato alla corte. Porzia cerca di convincere Shylock ad abbandonare le sue pretese crudeli e prova a trattare con lui usando degli argomenti morali. Quando il suo tentativo fallisce, però, Porzia tesse gli argomenti giuridici che demoliscono le pretese illegali di Shylock e costruiscono un ponte giuridicamente valido tra il querelante e la corte, così come vuole la sua professione. Per questi motivi, la School of Law del New England è stata ribattezzata Portia School of Law.
Ebbene. Nel gennaio del 2016, in occasione del quinto centenario del ghetto di Venezia e del quarto della morte di Shakespeare, l’Università Ca‘ Foscari ha messo in scena il Mercante di Venezia nello stesso luogo in cui l’azione si svolge. L’opera di Shake- speare non era mai stata rappresentata nel ghetto.
Ma l’avventura non finiva lì. Gli organizzatori dell’evento hanno avuto la brillante idea di invitare a Venezia un giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti, l’avvocato Ruth Bader Ginsburg, a presiedere un nuovo processo del caso di Shylock con altri tre giudici. Bader Ginsburg ha accettato e, dopo circa due ore e mezza di camera di consiglio, i giudici hanno raggiunto un accordo unanime. Annullare la clausola della libbra di carne, che nessun tribunale accetterebbe, rendere a Shylock i suoi beni, pagargli i 3000 ducati prestati ad Antonio, e annullare la richiesta di conversione. «Questa conversione», ha sentenziato Bader Ginsburg, «è stata richiesta da Antonio e il ricorrente non può trasformarsi in giudice». E poi ha aggiunto: «Dopo quattro secoli, il lasso di tempo durante il quale Shylock potrebbe pretendere degli interessi è scaduto». La corte non è stata unanime per ciò che riguarda Porzia. Tuttavia, hanno stabilito che, essendo un’impostora e un’imbrogliona, Porzia sia condannata a studiare Giurisprudenza all’Università di Padova, dove insegna uno dei giudici a latere di Bader Ginsburg, e anche all’Università di Wake Forest, dove un altro giudice è preside.
Alla caricatura dell’avvocato che un’opera di Shakespeare immortala nel grido di un macellaio rivoluzionario, un’altra commedia di Shakespeare oppone un personaggio più ambiguo, più complesso, meno facilmente definito: quello di Porzia, donna travestita da uomo, apparente difenditrice dei diritti di Shylock ma al tempo stesso esigente difenditrice della lettera della legge veneziana, una che espone di fronte alla corte una richiesta disumana ma apparentemente legale, per poi dimostrare l’illegalità di tale richiesta, una fedele servitrice della giustizia statale, ma anche dei diritti individuali.
Forse queste considerazioni indicano un nuovo senso del ruolo dell’avvocato, almeno in campo letterario. Tanto gli avvocati di professione come i dilettanti — l’avvocato Paul Biegler di Anatomia di un omicidio o Maitre Derville de Il colonnello Chabert, ma anche Tiresia in Edipo Re e diversi animali come la scimmia e la volpe nelle Favole di Esopo, per esempio — cercano di leggere nelle leggi i significati nascosti, quel che si cela tra le righe, il respiro umano nella fredda lettera dei codici.
E questo Shakespeare, ovviamente, lo sapeva. In Misura per misura, fa dire a uno dei suoi personaggi: «Non dobbiamo fare della legge uno spauracchio, / posto lì a spaventare gli uccelli predatori, / e lasciarla poi là, immutabile, finché l’abitudine / da spauracchio la riduce a posatoio».
Alberto Manguel
La Repubblica 31 dicembre 2016