L’integrazione economica tra le due sponde dell’Atlantico è un vecchio progetto, vecchio almeno quanto la formazione della Unione europea. Io stesso, molti anni fa, ho scritto un articolo auspicandone la realizzazione. Ognuno naturalmente ne ha una visione propria. Ad esempio, se ne può auspicare la nascita per meglio contrastare la crescente supremazia economica della Cina e in generale dell’Asia orientale. O anche si può considerarne il potenziale di contrasto della rinascita russa e specialmente della integrazione tra Russia e Cina.
L’ultima versione, conosciuta col nome di Ttip, Transatlantic trade and investment partnership, si pone come obiettivo, nemmeno troppo nascosto, di fungere da veicolo, a profitto delle grandi imprese europee e specialmente americane, per indebolire definitivamente le strutture dello stato sociale e della regolazione dei mercati da parte degli Stati.
E’ un progetto che parte, per iniziativa del Commissario de Gucht e della rappresentanza a Bruxelles degli Usa, nel 2011. Ma parte, nella presente temperie di contrasti tra Europa e Stati Uniti e in particolare tra Stati Uniti e Germania, con il piede sbagliato, in una atmosfera di segretezza e non trasparenza. Il primo risultato di questa falsa partenza è di suscitare contro il progetto l’ostilità dell’opinione pubblica europea, preoccupata del crescente deficit di democrazia che sta avvolgendo l’Europa e della possibilità che il nuovo partenariato serva specialmente a indebolire gli apparati apprestati per assicurare il massimo rispetto dell’ambiente e la massima limitazione delle trasformazioni genetiche dei prodotti naturali.
La prospettata unione euroamericana, infatti, farebbe aumentare assai poco sia il commercio totale che specialmente il Pil delle parti contraenti, e quel poco solo nel lungo periodo. Questo a detta persino degli studi di parte condotti per promuovere l’iniziativa. Il progetto, nato male, non riesce a fare molta strada prima di suscitare una rivolta, non generalizzata, ma sotto forma di ostilità da parte di gruppi di attivisti nel campo della protezione sociale e biologica, delle norme di protezione del lavoro e dell’ambiente. Fanno clamore rivelazioni come quella, specialmente efficace sulla opinione pubblica tedesca, dell’ammissibilità in Germania, se il partenariato sarà realizzato, di prodotti americani come i polli disinfettati con il cloro, pratica comune dei produttori statunitensi per impedire l’infestazione delle carcasse mentre viaggiano dagli allevamenti d’oltreoceano al consumatore europeo. Sembra una campagna anti-americana, l’ennesima rivolta dopo quelle causate dalle rivelazioni sulle intercettazioni della Nsa dei telefoni della Merkel. A spingere per la realizzazione del nuovo partenariato sono le associazioni industriali europee, che vedono in esso un cavallo di Troia contro gli eccessi di regolamentazione degli stati nazionali La Confindustria tedesca emette dichiarazioni dall’esplicito tenore favorevole. Il suo presidente Ulrich Grillo dice che gli europei hanno da imparare dagli americani nel campo della difesa dei consumatori e dei prodotti naturali. Ma qualche giorno prima la signora Merkel aveva dichiarato che mai avrebbe permesso che ai tedeschi fossero dati da mangiare polli al cloro. Quel che è letale per il partenariato, il cui negoziato dovrebbe, secondo quanto deciso dal Congresso Usa, concludersi a fine 2015, è la inclusione proditoria nel negoziato e quindi nel Trattato, di una sezione dedicata a una rivoluzione nelle procedure usate per risolvere i contenziosi tra privati e Stati. In tale sezione, Individual State Dispute Settlement, si ammette la possibilità che gli Stati possano essere chiamati in giudizio, davanti a corti arbitrali di tre membri, appositamente formate da specialisti del diritto commerciale internazionale, da individui e società che si ritengono danneggiati da divieti imposti a loro comportamenti da parte degli stati stessi, nella ipotesi che tali comportamenti statali abbiano causato loro danni anche solo di riduzione dei profitti attesi dalle attività interrotte o ridotte.
Si tratta, come si capisce bene, di una innovazione giuridica che serve a limitare drasticamente la sovranità degli stati, favorendo ad esempio grandi società multinazionali, che non esiterebbero a chiamare in giudizio, davanti alle già dette corti arbitrali, gli stati invadendo la sovranità giuridica che essi hanno sui propri territori. Non si capisce come abbiano potuto, i fautori del Trp, come lo si designava all’inizio, aggiungere la “I” all’acronimo, e cioè la sezione relativa alle dispute tra stati e individui, pensando di riuscire a far passare una modifica tanto radicale dell’assetto del diritto internazionale che prevale da parecchi secoli, e da quasi due millenni di tradizione giuridica europea. Proprio l’aggiunta della sezione sugli investimenti e sulle dispute ad essi relative è bastata a far condannare l’intero progetto anche da parte di coloro che erano favorevoli ad esso. I socialdemocratici tedeschi che per bocca del ministro dell’economia, Sigmar Gabriel, hanno reiterato il favore di massima ma qualificandolo con clausole di grande prudenza. Così, a difendere il tentativo di “aprire” l’assetto chiuso del welfare state europeo, dominato da entità nazionali non dedicate a fini di lucro, sono rimasti in pochi. Essenzialmente quelli che avevano avuto l’idea e l’avevano promossa attivamente, i governi degli Stati Uniti e del Regno Unito. Entrambi sono rappresentanti di interessi forti, come quelli degli intermediari finanziari internazionali, che hanno visto la loro libertà di azione ridotta da interventi legislativi e amministrativi dopo la crisi. Anche parecchie multinazionali industriali di origine anglo-americana si avvantaggerebbero della riduzione delle regole sui mercati europei come strumento di ulteriore penetrazione organica in tali mercati, dato che il futuro non sembra offrire loro prospettive favorevoli in altre aree dell’economia mondiale, come quella asiatica, assai meno aperta alle loro incursioni. A coronare il cambio di atteggiamento dei governi dell’Europa continentale è giunta la dichiarazione del ministro francese per il commercio estero, Mathias Fekl: allineandosi ai socialdemocratici tedeschi, ha detto di non aspettarsi che il governo francese porti al proprio parlamento una proposta di Trattato Transatlantico che includa la sezione sulla risoluzione delle dispute tra individui e Stato. L’ultima parola per ora è venuta da Jean Claude Juncker, che ha affermato che in materia tanto delicata gli organi di decisione europei non permetteranno che nessuno tenti di forzare loro la mano. La montagna, dunque, con buona pace di inglesi e americani, partorirà un topolino e forse nemmeno quello.
Massimo De Cecco
Repubblica – 24 novembre 2014
http://www.repubblica.it/economia/affari-e-finanza/2014/11/24/news/un_trattato_contro_il_welfare_europeo-101275826/?ref=search
Perché il TTIP non è un bene per l’Europa (e neppure per l’America)
http://www.pagina99.it/news/economia/7486/Perche-il-TTIP-non-e-un.html