Google, multa Ue di 4,3 miliardi

Nuova multa record per Google dalla Commissione Ue, la più alta mai comminata. Il motore di ricerca, che è riuscito a schivare le accuse di Bruxelles, dovrà pagare 4,3 miliardi di euro per aver abusato della posizione dominante del suo sistema operativoAndroid. La sanzione ammonta a quasi il doppio di quella, già rilevante, che la Ue inflisse a Google lo scorso anno: 2,4 miliardi di euro per aver favorito il suo servizio di comparazione di prezzi Google Shopping a scapito degli altri competitor.

La Commissaria alla concorrenza Margrethe Vestager ha annunciato le motivazioni della Commissione in una conferenza stampa. Il caso Android è nel mirino di Bruxelles dal 2015. Dopo un anno di indagini, nel 2016 Google fu accusata formalmente di aver obbligato i produttori di smartphone, come Samsung o Huawei, a pre-installare Google Search e a settarlo come app di ricerca predefinita o esclusiva. “Il nostro caso riguarda tre tipi di restrizioni che Google ha imposto ai produttori di apparecchi Android e operatori di rete per assicurarsi che il loro traffico andasse verso il motore di ricerca di Google – ha spiegato Vestager – In questo modo, Google ha usato Android come veicolo per consolidare il dominio del suo motore di ricerca. Pratiche che hanno negato ai rivali la possibilità di innovare e competere sui meriti. E hanno negato ai consumatori europei i benefici di una concorrenza efficace nella importante sfera mobile. Questo è illegale per le regole dell’antitrust Ue”.

In particolare, Bruxelles contesta a Google tre cose. La prima: ha chiesto ai produttori di device Android di pre-installare l’app di Google Search e il browser Chrome come condizione per fornire la licenza dell’app store di Google, cioè Play Store. Secondo: ha pagato alcuni grandi produttori e operatori di rete a condizione che pre-installassero l’app di Google Search. Infine, Google ha offerto incentivi finanziari ai produttori e agli operatori di reti mobili a condizione che installassero esclusivamente Google Search sui loro apparecchi. Questo allo scopo di consolidare e mantenere la sua posizione dominante. La notizia della multa record è stata data per prima dall’agenzia Bloomberg. Per quanto riguarda la multa inflitta lo scorso anno per Google Shopping, l’azienda ha fatto ricorso alla Corte di Giustizia della Ue.

Secondo la società di ricerca Gartner, Android nel 2017 ha dominato il mercato della telefonia cellulare con una quota dell’85,9%: l’anno scorso sono stati venduti circa 1,3 miliardi di telefoni con Android contro i circa 215 milioni che girano con iOS e 1,5 milioni che utilizzano altri sistemi operativi. L’ammontare dell’ammenda è deciso all’ultimo momento e può teoricamente raggiungere, secondo le regole di concorrenza europee, fino al 5% del fatturato totale della società, che è calcolato per Alphabet, società madre di Google, in 110,9 miliardi di dollari nel 2017, ovvero 94,7 miliardi di euro. La multa si calcola anche in base alla durata dell’infrazione, all’intenzione o meno di commetterla e alle sue conseguenze, cioè se ha davvero ha fatto fuori i competitor dal mercato oppure no.

La mossa di Bruxelles, che era attesa, è destinata a farsi sentire nelle già tese relazioni Usa-Ue. Per parte sua l’azienda ha replicato con l’intenzione di ricorrere contro la sanzione: “Android ha creato più scelta per tutti, non meno: un ecosistema fiorente, innovazione rapida e prezzi più bassi sono le caratteristiche classiche di una forte concorrenza. Faremo appello contro la decisione della Commissione”. Non solo. Il numero uno di Google, Sundar Pichai, ha agitato lo spettro di un sistema operativo a pagamento, in futuro, per i produttori di smartphone. Intanto, però, Google deve cambiare la propria “condotta illegittima” entro 90 giorni, altrimenti rischia un’altra multa che potrebbe arrivare fino al 5% del giro d’affari mondiale medio giornaliero di Alphabet, la società madre del noto motore di ricerca. “Finora, il modello di business di Android è stato progettato in modo da non dover far pagare per la nostra tecnologia”, afferma Pichai, ricordando la dura concorrenza con iOS di Apple. “Siamo preoccupati – prosegue il ceo – invii un segnale preoccupante a favore di sistemi proprietari rispetto a piattaforme aperte”.

 

Economia europea più forte Ma l’Italia è vulnerabile

Dieci anni dopo lo scoppio della crisi più profonda dal dopoguerra, scatenatasi dopo il fallimento della Lehman Brothers nel 2008, è legittimo chiedersi se il sistema economico e finanziario sia oggi più solido di allora, e maggiormente in grado di far fronte ad una eventuale nuova recessione. In effetti, ci sono seri motivi per dubitarne, come ha ricordato il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco nel suo recente intervento all’Assemblea annuale dell’Abi. A livello europeo, l’architettura economica e monetaria è stata notevolmente rafforzata. È stato creato il Meccanismo europeo di Stabilità, che ha erogato fondi a cinque Paesi (Grecia, Portogallo, Irlanda, Cipro e Spagna), finanziando programmi di aggiustamento che sarebbero altrimenti stati molto più onerosi. Ha preso avvio l’Unione bancaria, con l’istituzione di un Meccanismo di Vigilanza Unico, collocato presso la Banca centrale europea, che regolamenta su basi comuni le principali istituzioni bancarie europee. Infine, la Bce ha adottato strumenti innovativi di politica monetaria, come l’Omt (Outright Monetary Transactions) che consente di effettuare interventi illimitati sui mercati finanziari, e il Quantitative easing, in vigore fino alla fine di questo anno.

L’architettura non è ancora completa, e va rafforzata in varie parti, come riconosciuto da tutti, anche se rimangono divergenze sui tempi e sulle modalità. Ma non c’è dubbio che il sistema sia oggi più robusto e più resiliente agli shock rispetto a dieci anni fa. Le condizioni economiche dell’area dell’euro nel suo insieme sono anch’esse notevolmente migliorate. Nella maggior parte dei Paesi il reddito nazionale ha superato i livelli raggiunti prima della crisi, anche se la disoccupazione rimane superiore, in media di circa un punto rispetto al 2008. Negli ultimi cinque anni l’area dell’euro è cresciuta in media a un ritmo lievemente superiore a quello degli Stati Uniti, al netto della diversa crescita della popolazione. Il principale punto di vulnerabilità riguarda le divergenze tra i vari Paesi. Queste divergenze sono maggiori rispetto al 2008, e in alcuni casi si sono accentuate, rendendo alcune parti dell’Unione più fragili.

Uno dei principali fattori di vulnerabilità riguarda proprio l’Italia. In questi dieci anni la crescita italiana è stata la più bassa dell’area, con l’eccezione della Grecia, e il reddito medio pro-capite italiano risulta ancora inferiore di circa l’8% rispetto al 2008.

La disoccupazione è scesa, ma rimane più alta di oltre 4 punti percentuali rispetto a dieci anni fa.

Il debito pubblico è passato da circa il 106% al 131% del prodotto lordo. Peraltro, negli ultimi cinque anni il debito italiano non ha dato segni di riduzione, mentre è calato, non solo per l’insieme dell’area ma anche nei Paesi che avevano adottato programmi di aggiustamento, come l’Irlanda (di 40 punti percentuali), Cipro (10), il Portogallo (5) e la Spagna (3).

Per quel che riguarda il sistema bancario italiano, esso è oggi, nel suo insieme, sicuramente meglio capitalizzato, ma la quota di Npl (Non Performing Loans) sul totale dell’attivo, pur in netto calo negli ultimi 2 anni, rimane superiore al livello del 2008, così come la quantità di titoli di Stato detenuti dalle banche.

In sintesi, gli indicatori macroeconomici e finanziari mostrano che, soprattutto rispetto al resto dell’Unione, l’Italia rimane particolarmente vulnerabile. Lo confermano gli indicatori di rischio, come lo spread sui titoli di Stato, che già prima delle elezioni del marzo scorso era il più elevato dell’area, con l’eccezione della Grecia.

La situazione non è irrimediabile. Si tratta di proseguire, e magari accentuare, l’azione avviata negli ultimi anni. Se viene confermato il ritmo di riduzione delle sofferenze bancarie, e delle altre esposizioni deteriorate, che è stato messo in atto negli ultimi mesi, è possibile raggiungere la media del sistema europeo nell’arco del prossimo biennio. Se viene mantenuto lo sforzo di risanamento delle finanze pubbliche, la dinamica del debito può avviarsi verso una riduzione significativa e duratura già dall’anno in corso. Questo processo di convergenza trarrebbe un grande beneficio, e potrebbe addirittura accelerarsi, se fosse accompagnato da un definitivo chiarimento sull’appartenenza incondizionata dell’Italia all’unione monetaria, che ridurrebbe il profilo di rischio del Paese. Questo circuito virtuoso contribuirebbe peraltro ad accrescere il clima di fiducia necessario per concordare con gli altri partner europei le misure di rafforzamento dell’architettura dell’euro.

Se non si innesta un circuito virtuoso, le vulnerabilità del Paese rischiano di accentuarsi. Il mantenimento di uno spread sui livelli attuali, intorno a 250 punti base, produce effetti negativi non solo sulle finanze pubbliche, come siamo abituati a pensare, bensì anche sull’economia reale. L’aumento dei tassi tende infatti a ridurre le riserve disponibili del settore bancario per erogare nuovo credito alle famiglie e alle imprese; crea un incentivo per le banche ad accrescere le loro posizioni in titoli, a scapito del credito al sistema produttivo; aumenta il costo di indebitamento per le imprese e crea un clima di incertezza che tende a rallentare gli investimenti. Rischia così di innescarsi un circuito perverso, tra economia reale e mercati finanziari e bilancio pubblico. Un circuito perverso che solo una forte azione di politica economica può arrestare.

Lorenzo Bini Smaghi

Corriere della Sera, 17 luglio 2018

https://www.corriere.it/opinioni/18_luglio_17/economia-europea-piu-forte-ma-l-italia-vulnerabile-0d66538c-8925-11e8-b6ba-4bfe4aefe0a3.shtml

Pil Italia, l’economia rallenta: la Commissione europea taglia le stime all’1,3% nel 2018

La ripresa c’è ma non si vede. O, almeno, si vede troppo poco. Così giovedì è arrivata la doccia fredda. La Commissione europea ha infatti rivisto al ribasso le stime sul Pil italiano: per il 2018 vengono limate a 1,3% (da 1,5% previsto a maggio) e nel 2019 a 1,1% (da 1,2% di maggio). «Sebbene l’economia italiana sia cresciuta di 0,3% nel primo trimestre 2018, solo poco meno del trimestre precedente, non è completamente sfuggita alla generale perdita di slancio delle economie avanzate», quindi «l’attuale ripresa dovrebbe indebolirsi ma proseguire al di sopra del potenziale», scrive Bruxelles nelle previsioni economiche estive.
Lo scarto rispetto al tasso di crescita della zona euro è di 0,8 punti percentuali nel 2018 e 0,9 nel 2019. Si tratta sempre del ritmo di crescita più basso di tutta la Ue a parità con il Regno Unito quest’anno e l’anno prossimo il peggiore in assoluto. Le ultime previsioni del governo (fine aprile 2018) a politiche invariate indicavano 1,5% nel 2018 e 1,4% nel 2019.
Rispetto alle previsioni di primavera, la Commissione Ue ha comunque alzato le stime relative all’inflazione italiana, portandole a +1,4% per il 2018 e a +1,6% per il 2019, rispettivamente da +1,2% e +1,4%. L’aumento dell’inflazione, si legge nel report, è dovuta in larga parte all’effetto dei prezzi del petrolio più alti, amplificato da un euro più debole. Sull’Italia, il commissario Moscovici ha detto: Continueremo il nostro dialogo positivo per trovare soluzioni comuni che possono essere favorevoli per l’economia italiana come per il ruolo dell’Italia nella zona euro. Sicuramente ci sono problemi strutturali che non sono di oggi o di ieri, pensiamo alla produttività debole», ha spiegato il politico francese, «per il resto spetta a governo italiano scegliere le opzioni nel quadro degli impegni europei» che ha assunto.

Quali rischi

«I rischi al ribasso sulle prospettive di crescita sono diventati più rilevanti nell’accresciuta incertezza globale e della politica interna», scrive la Commissione europea nel suo rapporto. «A livello interno, qualsiasi rinnovata preoccupazione o incertezza sulle politiche economiche e il possibile trasferimento di rendimenti sovrani più alti ai costi finanziari delle imprese – è scritto ancora nel rapporto di previsione comunitario – potrebbe peggiorare le condizioni di finanziamento e indebolire la domanda interna».

Chi soffre

Ma è in realtà tutto il Vecchio Continente a «soffrire». Ue ed Eurozona «continueranno ad espandersi quest’anno e nel 2019 ma ad un passo più moderato rispetto al 2017»: lo scrive la Commissione Ue nelle stime economiche estive. «Riflettendo l’attività più debole del previsto nella prima metà dell’anno, la prospettiva del pil nella zona euro e nell’Ue nel 2018 è stata rivista a 2,1%, ridotta di 0,2 punti percentuali» rispetto alla primavera. Invariata al 2% nel 2019. Restano «rischi significativi» da tensioni commerciali e volatilità dei mercati.

La partita dei dazi

«La leggera revisione al ribasso della previsione rispetto alla primavera riflette l’impatto sulla fiducia delle tensioni commerciali e dell’incertezza politica nonché l’aumento dei prezzi dell’energia», ha spiegato il commissario europeo per gli Affari economici e finanziari, la fiscalità e le dogane, Pierre Moscovici, presentando le previsioni economiche d’estate. «Prevediamo che l’espansione continui nel 2018 e nel 2019, sebbene un’ulteriore escalation delle misure protezionistiche costituisca chiaramente un rischio di revisione al ribasso. Ricordiamoci che nelle guerre commerciali non ci sono vincitori, solo vittime», ha proseguito Moscovici. «I crescenti rischi esterni sono ancora un’ulteriore conferma della necessità di rafforzare la resilienza delle nostre economie nazionali e della zona euro nel suo insieme», ha aggiunto il vicepresidente della Commissione europea, Valdis Dombrovskis, commentando le previsioni economiche intermedie d’estate dell’esecutivo Ue. «La revisione al ribasso della crescita del Pil da maggio – spiega il politico lettone – dimostra che un contesto esterno sfavorevole, ad esempio le crescenti tensioni commerciali con gli Usa, può erodere la fiducia e incidere negativamente sull’espansione economica».

Redazione economia. Corriere della Sera, 13 luglio 2018

https://www.corriere.it/economia/18_luglio_12/pil-l-italia-rallenta-l-europa-taglia-stime-all-13percento-2018-9684db26-85b9-11e8-b570-8bf371a11210.shtml

L’allarme di Ft: «Oggi Amazon pratica prezzi bassi, che cosa farà in futuro?»

Spendendo un miliardo di dollari Amazon ne ha cancellati 14. Non soldi suoi, ma del settore in cui ha fatto il suo ingresso, quello della distribuzione dei farmaci. Con questo commento il Financial Times fa il punto sull’ultima acquisizione del dinamico e controverso gruppo delle consegne globali — Amazon — la creatura fondata 24 anni fa a Seattle dal visionario Jeff Bezos e valutata oggi in Borsa l’incredibile somma di 824 miliardi di dollari, grosso modo quanto il Pil annuale di un paese come l’Olanda.

La somma «sparita» di 14 miliardi di dollari equivale alle perdite in borsa subite dalle principali catene statunitensi di distribuzione di farmaci — Walgreens, Boots Alliance, Cvs Health, Express Scripts, Cardinal Health, McKesson e Amerisource -Bergen — dopo che il colosso di Seattle ha annunciato l’acquisizione di PillPack, una società di vendita online di specialità farmaceutiche. Già nel corso degli ultimi 12 mesi, ricorda il Financial Times, queste società avevano perso circa il 10% della loro capitalizzazione in seguito ai «rumours» di un possibile ingresso di Amazon nel settore.

Il mercato, secondo il giornale finanziario britannico non sta reagendo in modo esagerato. Infatti tutte le volte che Amazon ha provato a colonizzare nuovi segmenti della distribuzione l’impatto è stato fortissimo, come ad esempio nel caso di Wal Mart che ha visto ridurre drasticamente i suoi margini a causa della concorrenza del gigante di Seattle. E tuttavia i consumatori beneficiano delle riduzioni di prezzi che derivano dall’aumento della concorrenza il che va a merito di Amazon. Una società che nel 2017, grazie alle sue dimensioni colossali, è stata in grado di investire 34 miliardi di dollari in nuove piattaforme tecnologiche d’avanguardia, contenuti e servizio alla clientela. Nessuno è in grado di competere con una simile potenza di fuoco.

Ma che cosa accadrà una volta che Amazon avrà raso al suolo i principali competitor all’interno dei settori in cui opera, si chiede il quotidiano della City. Il rischio è che i consumatori, che oggi godono di tutti i vantaggi di prezzi più bassi nell’acquisto dei prodotti siano costretti in futuro a pagare di più. E senza neanche accorgersene o avere la possibilità di rivolgersi altrove.

Marco Sabella

Corriere della sera , 1 luglio 2018

https://www.corriere.it/economia/18_luglio_01/allarme-ft-oggi-amazon-pratica-prezzi-bassi-che-cosa-fara-futuro-7af76df2-7d1b-11e8-b995-fbeecea523fe.shtml

 

Sullo stesso tema:

https://www.corriere.it/economia/18_gennaio_19/amazon-rischio-monopolio-l-ipotesi-dividerla-due-6a91276a-fd18-11e7-b1af-dcddd5d25ebd.shtml

https://www.internazionale.it/notizie/robinson-meyer/2017/06/29/monopolio-amazon

Monopolista-monopsonista, Amazon caso unico al mondo. E l’Europa sta a guardare